Tureia

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Tutto e’ sorprendente in Polinesia, non mi è mai capitato di dovermi preparare in questo modo per un viaggio di lavoro… Papa’ John ci ha convocati, partirò in compagnia di un giovane stagista, con grande espressività e frasi colorate, anche se con noi parla francese e non Reo Ma’oi, del quale ha appena pubblicato un vocabolario, ci ha raccontato i retroscena relativi al nostro viaggio: “Un gruppo religioso arriverà sull’isola col vostro stesso aereo” oh, oh, non vorranno per caso annullare il viaggio? Dopo aver pagato il costosissimo biglietto e con le date obbligate che ho, io, in teoria una fannullona polinesiana, in realtà impegnata su numerosi fronti in qualsivoglia attività culturale mi passi vicino… No, Papa’ John era stato categorico, niente rinvii, la missione doveva partire e basta, nessuna scusa, solo che, ecco, “Il battello che rifornisce l’isola non passa da tre mesi” e siamo corsi a comperare le provviste nel supermercato più fornito di Tahiti. Per fortuna il giovane aveva previsto tutto ed si era fatta lasciare l’auto di famiglia, la macchina con la quale il padre andava a lavorare, con la quale i fratelli venivano accompagnati a scuola, che serviva a recuperare cugine di passaggio che ora, carica di scatoloni pieni di cibo, ci aiutava in questa operazione. Ad accompagnarci, la tenera madre del ragazzo, utilissima per scegliere le mercanzie, lasciata a me stessa non sarei andata oltre 5 kg di riso e 5 kg di spaghetti, con l’aggiunta forse di un po’ di carote ed un sacco di cipolle, avevo visto quanto fossero importanti durante i miei giri in cargo negli atolli delle Toumoutu; grazie a lei abbiamo riempito una ghiacciaia e tre scatoloni, carne in scatola, formaggio australiano, zucchero… Ogni ben di Dio e stato comperato, impacchettato etichettato con nome e destinazione e spedito come merce in aereo, sarà il regalo per la famiglia che ci accoglierà. A Tureia non esistono pensioni, chi andrebbe mai in vacanza in un atollo vittima dei bombardamenti nucleari? Dormiremo, come mi è già capitato mentre ero in visita nell’arcipelago delle Australi, dormiremo in una casa, condivideremo il quotidiano con la famiglia; abbiamo tre giorni per poter fare il lavoro per il quale stiamo per volare laggiù, tre lunghe ore di volo verso est, dopodiché siamo invitati al pellegrinaggio all’interno dell’isola. Questo mi preoccupa non poco, non tanto il pellegrinaggio, e’ un gruppo cattolico, della mia stessa religione, in tutta la moltitudine di credo presenti nelle isole, e’ la prima volta che mi capita di ‘giocare in casa’, il mio dubbio e’ un altro, e’ sull’interno dell’isola, questa isola che nella sua immagine satellitare presenta al centro una compatta massa di acqua di un intenso blu scuro, questa isola e’ un atollo, non ha interno… Quale sarà mai la destinazione di questo pellegrinaggio?
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I voli per le isole partono presto, ci si sveglia prima dell’alba, quando fa ancora buio, mi preparo velocemente, una passata sotto la doccia, una lavata di denti, infilo le ultime cose nella mia piccola valigia, esco in giardino ad aspettare, dietro il cancello per evitare di essere morsa dai feroci cani dei vicini, mi godo il cielo stellato, ammiro l’impalpabile bruma avvolgere magicamente i dintorni, ammiro quel primo chiarore mattutino, il ‘marama’ come lo chiamano i polinesiani, con il loro poetico nominare gli eventi della natura, guardo le stelle svanire nella luce del giorno che si fa sempre più forte e rende nitidi i colori, spezzo un rametto fiorito dalla siepe di buganvillea per metterlo sopra l’orecchio ed ecco la macchina! All’aeroporto pochi turisti, coppie giapponesi in viaggio di nozze, qualche americano, i voli del mattino sono quelli delle isole più lontane, ecco un gruppo di marchesiani alti e forti che si presenta all’uscita, vado alle Tuamoutu, le Tuamoutu est, le isole lontane abitate da gente fiera dalla pelle scura, uno dei 78 atolli bruciati dal sole dove crescono solo palme da cocco e dove si coltivano le perle, le perle nere come la loro pelle, le perle abbronzate e con i bei riflessi azzurri verdi o melanzana, le perle tipiche della Polinesia.
Ne avevo comperata una da un grossista durante la mia prima visita in Polinesia, una bella perla di valore, a forma di pera leggermente violetta, grande, bella, potevo portarla da sola appesa ad una catenina o centrale nel filo di perle bianche che erano di mia nonna, un giorno sono partita per un viaggio di lavoro, come sempre l’ho avvolta in un fazzolettino di carta per proteggerla e non l’ho più trovata. Forse è rimasta a casa ed è stata erroneamente buttata, forse mi è caduta dal portafogli dove l’avevo riposta… Non voleva stare più con me e mi ha lasciata, ho solo una foto, una foto del suo passaggio appesa al mio collo, la sera della bella festa di compleanno di mio padre, dove mi adornava elegantemente completando il mio abito da sera di colore rosso intenso. Non ero felice quando mi vestivo carica di colori, ora che sono nera dalla testa ai piedi e ho cambiato vita sono più che soddisfatta e mi godo tutto ciò che faccio!
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Ho capito perché hanno mandato proprio me, mi sono venuti incontro uno per uno i numerosi proprietari dei due Blockhouse, il primo un ometto pelle ed ossa direttamente all’aeroporto: “Sei tu che devi vedere la mia proprietà?” Mi ha chiesto con un sorriso beffardo, ma la mia faccia e’ pulita e sono un tecnico, solo un tecnico che deve fornire cifre a chi deciderà, e forte di questa mia posizione me la sono cavata con tutti, uno dopo l’altro, li ho affrontati con un sorriso, spiegando che ero arrivata su quel l’isola lontana carica di buoni propositi, che ero venuta a vedere, che avrei dovuto di valutare, trovare una tecnologia semplice ed efficace.
I due rifugi anti atomici sono stati una sorpresa per me, sono stata interpellata in quanto esperta di calcestruzzi, in ricordo del mio ultimo lavoro, il vero problema e’ che di calcestruzzo li c’è n’è ben poco e tutto e’ in uno stato di pietoso abbandono. Invece di fare delle solide pareti di calcestruzzo, come sarebbe stato utile alla popolazione per ripararsi dalle numerose esplosioni atomiche, hanno imbullonato pareti di lamiera riempite di ciottoli di corallo, perché in quest’isola la spiaggia e’ formata da ciottoli di corallo, ho fotografie di altri due rifugi dove le lamiere sono riempite da sabbia, fine sabbia marina… Materiali ricchi di sali che si ribellano all’essere confinati e trovano la strada per uscire sotto forma di stalattiti, diffusi aloni biancastri, infischiandosene delle forti pareti che li contengono. Dei finti rifugi anti atomici, e un finto progetto e’ la mia idea, o meglio, un vero progetto di qualcosa che nella forma ricordi ciò che era l’immagine delle due orribili costruzioni, ma non nella sostanza, tanto più che oggi siamo fortunatamente esentati dalla necessità di proteggersi dalle terribili radiazioni mortali.
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Nelle isole e’ un po’ come in un nostro paese, poche persone, un 200 circa, la maggior parte imparentate fra di loro; si conoscono tutti, spesso ci sono liti che continuano da più di vent’anni, la maggior parte per le terre, le terre che in un paese fatto di mare rappresentano la vera ricchezza.
Come da noi esistono le macchiette: il sindaco, una donna giovane ma corpulenta, criticata da tutti, ma ahimè da tutti eletta, suo marito con la testa piena di capelli ed il naso largo e butterato, il vigile, un rasato dall’aria severa, suo fratello il matto del villaggio, impossibile uscire senza essere scortati dal poveretto, rifuggito da tutti, come qualche forestiero arriva sull’isola si appiccica per avere quel poco di considerazione che da tutti gli viene negata. La sua pensione lo ha fatto uscire dal manicomio dove era rinchiuso, il fratello preferisce tenerselo in casa, anche se ruba le mutande della cognata per annusarle, benessere in più per la piccola famiglia. Il matto ha quattro figlie, grandi, che vivono in Francia, quella che era sua moglie incredibilmente e’ la donna più elegante del villaggio, ha una nipotina chiara di pelle e senza capelli che porta il suo stesso nome. Tutti fumano un tabacco terribilmente puzzolente che si chiama Bisonte, arrotolano veloci delle sigarette esili che spariscono rapide in un paio di tirate, in molti hanno una tosse profonda dovuta a questo ed al whisky che ingurgitano in grande quantità.
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Per la prima volta mi trovo con persone della mia stessa religione durante il ritiro in questa isola lontana, le persone che frequento sono protestanti, avventiste, e’ la prima volta che mi trovo a condividere la stessa fede. Non capisco bene il perché di doversi allontanare dal villaggio, ai miei occhi già abbastanza fuori dal mondo, ma dove ogni famiglia ha una vera casa o qualcosa che le assomigli, per ritrovarsi in una spiaggia attrezzata, con tanto di cappella in muratura, in un ritiro spirituale simile ad un piccolo esodo, fuori dal quotidiano, lontani dalle proprie comodità. Forse non capisco perché la mia e’ una rinuncia perenne, anche se abito in una comoda stanza presso amici, la mia rinuncia ad avere una casa e’ costante, il vivere tirando una valigia, nella quale ho forse anche troppe cose inutili riposte. Non la vivo come una mancanza, ne sono felice, contenta di essermi liberata di tanti pesi faticosamente inutili.
I polinesiani sono maestri di adattamento, hanno poche cose essenziali ed in un attimo riescono a ricreare il necessario: il materasso lascia il letto di tavole di legno inchiodate e si trasferisce in una spiaggia sopra una stuoia sottile, completo di lenzuola e coperta utile contro l’umidità che dal mare salirà durante la notte. I gruppi familiari si riuniscono, qua e là ognuno dormirà a fianco ai propri cari, ognuno col nucleo di appartenenza, il mio sarà la giovane famiglia che mi accoglie.
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Tutta la notte fastidiose formiche hanno camminato sul mio corpo, una moltitudine silenziosamente infaticabile che mi ha impedito di dormire. Le nuvole si sono caricate di rosa, le fronde delle palme che hanno rumoreggiato tutta la notte spinte dai venti agitandosi in mezzo alle stelle hanno assunto un bel colore dorato, le mosche sono piombate su di noi, un numero incredibile di mosche, spuntate da chissà dove, ci hanno avvolto circondandoci nel loro volare.

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È stato un vero crescendo culminato nella Messa di guarigione, abbiamo pregato, cantato, guidati dal diacono, un polinesiano con un solo dente in bocca carico di sapienza, profondo conoscitore della religione cattolica, con il quale ho potuto parlare di Santi e Chiese del mio paese come se anche lui ci avesse vissuto, fine conoscitore di anime e peccati.
Rientrati nel villaggio, dopo aver abbandonato per tre giorni ogni comodità, dopo esserci riavvicinati al nostro Dio anche grazie a questo mini esodo, proprio come Mose’ nei suoi 40 anni di errare nel deserto, immagine che mi piace molto; dopo questa immersione totale nella natura e nella preghiera, ci siamo ritrovati per l’ultima celebrazione nella chiesa del villaggio.
È stata un’esperienza unica, le preghiere ed i canti sono diventati sempre più serrati, le invocazioni allo Spirito Santo salivano in cielo con forza ogni volta maggiore, poi il Diacono, che l’ultima sera al ‘settore’ prima di celebrare la Messa della domenica aveva dichiarato di non sentirlo, di non avere voglia di pregare sulle varie persone, una per una, tanto da incuriosirmi: “Bisogna sentirlo”, diceva a Maru, il bravo organizzatore del tutto, “Stasera proprio non lo sento”. L’ultima sera carico di energie ha cominciato a porre le mani sulle teste delle varie persone, cominciando da due ragazze che conoscevo bene, avevamo molto parlato; prima una, la più grossa, e’ caduta a terra scivolando morbidamente, il grande Maru dietro ogni fedele era pronto a raccoglierlo ed accompagnare la caduta aiutato dalla sua stazza, poi la seconda, l’amica del cuore della mia ospite, una ragazza esile che lavora alla posta, giù, sopra la prima, cadute rigide ed immobili come se in catalessi. Istintivamente mi sono alzata per soccorrerle ma una mano ferma me lo ha impedito: “No, lascia agire lo Spirito Santo”. Sono rimasta seduta ed ho continuato ad osservare, pregando e cantando nella mia lingua, dopo tre giorni passati senza capire nulla, vedendo, uno dopo l’altro, cadere in questa trance mistica quasi tutti i fedeli, dal più giovane al più anziano, dal più magro al più grosso, dal più alto al più basso, senza trovare il coraggio di farmi avanti e sottopormi al trattamento… Confesso che ad un certo momento mi sono dovuta appoggiare allo schienale del banco in legno sul quale ero seduta perché l’energia presente nell’aria tutto intorno a me avvolgendomi mi stava sopraffacendo, ho sentito che stavo venendo meno… Sensazione contro la quale ho lottato per almeno una mezz’ora! Non ho avuto il coraggio di lasciarmi andare, non ho avuto il coraggio di sottopormi, confesso: ho avuto paura!

Categorie: Polinesia Francese | 2 commenti

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2 pensieri su “Tureia

  1. Domenico

    Ogni tuo racconto, ogni tua parola mi fa sognare . Grazie Manuela alla tua sensibilità che riesci a trasferire nei tuoi racconti . Sei una gran bella persona. Ia orana

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